Skip to main content

“LA LUCE RISPLENDE NELLE TENEBRE “

ICONA DELLA NATIVITA’

La rappresentazione della Natività non si basa solo sul racconto  dei vangeli di Matteo e Luca, ma anche sulle narrazioni apocrife del Protovangelo di Giacomo e del Vangelo dello Pseudo-Matteo.

La più antica rappresentazione del mistero della Natività, è un affresco della catacomba di santa Priscilla a Roma, risalente alla prima metà del III secolo, rappresenta la Vergine con il bambino e un personaggio che indica una stella posta nella parte alta della scena.

Più tardi la scena della Natività si arricchisce di dettagli che riflettono il racconto dei Vangeli o degli apocrifi. Non si tratta in questo caso di elementi puramente decorativi o pittoreschi, ma di tratti che sono subordinati alla scena centrale e indicano altri aspetti del mi­stero della Natività.

Le fonti della composizione

Come già detto le fonti a cui si ispira l’icona della Natività sono le Sacre Scritture e la Tradizione.

La prima fonte può essere esclusivamente il racconto evangelico che fornisce i particolari dell’avvenimento e richiede per la loro rap­presentazione i mezzi dell’arte figurativa. Il più ricco è il Vangelo di san Luca che indica con un linguaggio preciso e realista le circostanze della nascita di Gesù a Betlemme, in base al quale si possono distinguere tre gruppi di informazioni o tre scene.

La nascita del Messia

– “Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo” (Lc 2, 6-7).

– Poi Luca descrive l’apparizione dell’angelo del Signore ai pastori che stavano nei campi e l’inno di lode della milizia celeste (Lc 2, 8-15).

– La terza scena è la visita dei pastori: “Andarono dunque senz’indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nel­la mangiatoia” (Lc 2, 16-20).

Come si vede è il Vangelo che suggerisce la rappresentazione centrale dell’icona, il Vangelo di Luca per quanto concerne la Natività vera e propria, il Vangelo di Matteo per ciò che si rifà all’adorazione dei Magi.

Con le due scene rappresentate in basso all’icona, poi – san Giuseppe in atteggiamento pensoso e il bagno del bambino – l’ispira­zione non viene più dai Vangeli canonici, ma dagli apocrifi.

Il movimento discendente

Iniziamo dunque la lettura dalla raffigurazione del movimento d’amore di Dio verso la creazione. Esso è espresso dal raggio di luce che proviene da una semisfera posta nella parte superiore dell’icona e che traccia l’asse verticale di tutta la composizione. Questa semisfera dipinta con diverse sfumature di blu, il colore della trascendenza, rappresenta la divinità:

E siccome l’azione salvifica di Dio è comune alle tre persone, egli discende prima in un unico raggio che dopo la raffigurazione di una colomba si divide in tre, segno della partecipazione delle tre persone all’economia della sal­vezza. Un raggio cade sulla testa del bambino e sul grembo della madre allusione alla frase della Scrittura “lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo” (Lc 1, 35).

Secondo i Padri della Chiesa, lo Spirito è la Gioia eterna tra il Padre e il Figlio.

La grotta, il Bambino e gli animali

Al centro dell’icona si trova la grotta. che si presenta come una caverna oscura.

È proprio su questo sfondo oscuro e tenebroso che si staglia colui che costituisce il cuore di tutta l’icona: il Bambino che giace nella mangiatoia. Questo Bambino illuminato dalla luce celeste su uno sfondo d’oscurità ricorda il prologo di San Giovanni:

In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre,
ma le tenebre non l’hanno accolta” (Gv 1, 4-5).

Il Bambino non è solo il centro teologico dell’icona, è anche il centro della composizione. In questa rappresentazione della Natività, la testa del Bambino è posta sull’asse verticale individuato dal raggio della stella, all’altezza della testa del Bam­bino si trova anche quella della madre.

L’allusione alla passione del Cristo è suggerita in modo molto più chiaro da alcuni dettagli. Il Dio fatto uomo giace in una mangiatoia di pietra, di forma rettangolare e molto somigliante a un sepolcro, il Bambino ha già le proporzioni di un uomo adulto è avvolto in fasce molto strette quasi quelle di un defunto. Il Neonato è adagiato in una tomba, poiché egli è nato affinché con la sua morte fossero vinti la morte e il peccato. È così chiaramente indicato il nesso tra l’Incarnazione e la Croce.

Sullo sfondo nero di questa grotta si trova anche l’asino e il bue. Questi due animali sono rappresentati solo a partire dal IV secolo, si può pensare alle parole del profeta Abacuc: “Ti manifesterai tra due animali” (Ab 3, 2); o al vangelo dello Pseudo Matteo, dove troviamo una interpolazione, ripresa nei testi liturgici, che si rifà ad Isaia: “Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone” (Is 1, 3).

La Theotokos, (Madre di Dio)
Davanti a questa mangiatoia, su uno stupendo cuscino rosso, giace la Madre di Dio. Avvolta in un manto che la rico­pre dalla testa ai piedi, e ne nasconde persino le mani, ella è collocata al posto d’onore. Il rosso scuro del manto – «maphorion» – (che nei mosaici può mutarsi in blu scuro) ricorda il colore regale della porpora. La dignità della Madre è ulteriormente sottolineata dalle tre stelle che sono poste sul capo e sulle spalle e che indicano la verginità prima, durante e dopo la nascita del Figlio divino.
Lievemente curvo, il corpo della Madre si unisce alla forma elegante del cuscino regale e sembra essere esente da ogni pesantezza, il suo grembo è nello stesso asse di simmetria della stella e quindi del Bambino. Ma­ria è sdraiata per riposarsi, come ogni donna che abbia appena dato alla luce un bimbo. Ella non è rivolta verso il bambino, ma verso di noi: ci accoglie tutti e riconosce in noi la nascita del suo Figlio. Colei che ha generato il suo Creatore rappresenta la nostra umanità.

La creatura è toccata dagli insondabili misteri del Creatore. Di fronte a questa rivelazione non c’è risposta se non nella contemplazione si­lenziosa: «Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc 2, 19). Forse la liturgia ci suggerisce qualcosa della meditazione silenziosa di Maria quando dice:
«Come narrare questo grande mistero? L’incorporeo prende un corpo; il Verbo si è caricato di una carne; l’invisibile si fa vedere; l’immateriale si lascia toccare; Colui che è senza ini­zio inizia; e il figlio di Dio diventa figlio dell’uomo; Gesù Cri­sto, ieri e oggi, e lo stesso sempre per tutti i secoli».

I Re Magi.
A sinistra della grotta tra i dirupi dei monti sono rappresentati, secondo la tradizione, i tre Magi che vengono alla grotta per riconoscere nell’infante il Verbo fatto uomo.
I magi rappresentano il fatto che tutti i po­poli sono chiamati ad adorare il vero Dio.
Ancora un dettaglio che sottolinea il carattere universale della scena dei Magi: hanno tutti un’età diversa; il primo che li guida è un ve­gliardo dalla barba bianca, in mezzo vediamo un uomo nel fiore degli anni, con capelli e barba di colore scuro, il terzo è un giovane imber­be. I tre Magi ricordano così che gli uomini di tutte le nazioni e di tutte le età sono chiamati ad adorare il Figlio di Dio nato in un corpo di bimbo.

I testi liturgici sottolineano l’adorazione dei Magi come elemento fortemente teofanico e caricano questo evento di profondi significati simbolici. «Dio conduce i Magi all’adorazione predicendo la sua resurrezione dopo tre giorni, con l’oro, l’incenso, la mirra» «Oro puro come al re dei secoli; incenso come al Dio dell’universo, mirra a lui l’Immortale, come a un morto di tre giorni.»

L’Annuncio ai pastori.
Gli angeli sono rappresentati in duplice atteggiamento, uno ha il volto rivolto verso l’alto, verso la sorgente della luce, l’altro si rivolge direttamente ai pastori e comunica a loro il grande messaggio, gli angel  sono, per loro natura, ciò che è espresso dal gesto antico delle mani velate: adorazione e lode di Dio. Ancora una volta è sottolineata la funzione delle schiere angeliche quella cioè di essere solleciti ministri attorno alla gloria di Dio e quella di essere annunciatori-messaggeri della parola di Dio.
L’annuncio ai pastori,  i quali sollecitamente accogliendo la gioiosa novella, si incamminano incontro a Cristo e diventano così testimoni della sua teofania salvifica. Essi sono i primi testimoni del Fi­glio di Dio, e ciò che li rende capaci di annunciare la buona novella è proprio la semplicità del loro cuore.

Le scene catechetiche

Sotto la grotta si apre una terza zona, quella della realtà umana. (Fig. 14)

In fondo a sinistra, vediamo san Giuseppe rinchiuso anch’esso nel mantello dei propri pensieri, nel suo umanissimo dubbio di fronte al mistero, con la schiena piegata in avanti, il capo appoggiato su una mano, in un atteggiamento pensoso è come se fosse estraneo a tutto quello che è accaduto. I vangeli apocrifi si dilungano dettagliatamente sui dubbi e sulle reazioni incredule di Giuseppe davanti al concepimento di Maria, e anche il Vangelo di Matteo lo dipinge mentre è in preda all’incertezza “Giuseppe il suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla decise di licenziarla in segreto” (Mt 1,19) Giuseppe, dunque è l’uomo che si interroga davanti al mistero e di fronte a lui la tentazione del dubbio si materializza e si personifica in una figura di pastore coperto di pelli, la tradizione dà al pastore-diavolo il nome di Tirso.

La scena di destra raffigura due donne. Una tiene il bambi­no sulle ginocchia, l’altra, versa dell’acqua in una baci­nella, per preparare il bagno per il Bambino; questo gesto sottolinea da un lato la perfetta umanità di Cristo, e dall’altro è la prefigurazione del battesimo, sacramento in cui il discendere nell’acqua ed il risalirne simboleggia la discesa agli Inferi e l’uscita da questi.

In fine in tutta la scena ricorrono elementi vegetali ed animali: alberi ed arbusti, pecore e agnelli. Tutti hanno lo sguardo rivolto verso l’alto come i pastori. Essi esprimono lo stupore del creato in quel momento prodigioso. Così, questo ultimo dettaglio dell’icona della nascita del Signore, a prima vista semplicemente poetico e pittoresco, completa la manifestazione del Verbo incarnato e riporta il nostro sguardo verso il centro: il bam­bino adagiato nella mangiatoia, il Dio fatto uomo per amore degli uomini.